Di Ninni
La famiglia Fabrizio (carruzzìre) a San Salvo dette del filo da torcere alla banda del brigante Pomponio
Guerino fabrizio
Il racconto di Michele Molino
17/02/19

L’immensa distesa di boschi, che copriva in passato la piana del Trigno,  era un perfetto nascondiglio per il famigerato capo brigante Giuseppe Pomponio e per i suoi compagni.  Gli abitanti  del borgo di  San Salvo, quando il  capitano della milizia Luigi Ciavatta fu massacrato da Giuseppe Pomponio con due colpi di rivoltella,  lungo il sentiero di “Celllarotta” oggi via “Caravaggio,  per un lungo periodo di tempo non misero piede fuori dalla cerchia muraria,  che chiudeva l’abitato. Al calar della sera, le porte venivano serrate da grosse catene di ferro, pertanto,  i malviventi  che dovevano  fare uno spuntino  e  giocare a carte nella taverna di Angelo Fabrizio, lato ovest della chiesa  San Giuseppe,  s’infilavano  attraverso un cunicolo umido e buio (forse  era l’acquedotto del II sec. d.C. ?)  e,  carponi,  penetravano nel borgo. Vitale Fabrizio,  la moglie Angela Cilli e i suoi numerosi figli  non avevano mai condiviso il comportamento ossessivo dei briganti; infatti  giurarono di difendere la famiglia e l’abitazione fino all’estremo della vita; abitavano in un  grosso casamento vicino alla chiesa di San Giuseppe. Nel pianterreno possedevano la stalla per i cavalli e un camerone da cui partivano i servizi di trasporto merci e di trasporto persone con carrozza a traino equino per raggiungere Roma e Napoli. Perciò il soprannome di carruzzire.  Pioveva e faceva freddo,  la notte in cui  una banda di briganti  diede l’assalto alla casa dei “Fabrizio”, ma  per limitare al minimo possibile il rumore prodotto,  diedero fuoco al portone della stalla. Al bagliore delle scintille, tutti i membri della famiglia  scattarono  dal  letto  e  cominciarono una sparatoria  micidiale. I malfattori capirono che  il combattimento si stava facendo più duro del previsto, così si allontanarono  correndo a perdifiato nell’oscurità della  'disciàse de la fànd' (ndr attuale  Fontana Vecchia).  Peppino Artese, pronipote  di Vitale Fabrizio, ex dipendente della Pilkington, ha riferito che dopo la fuga dei briganti della banda Pomponio, un componente della famiglia Fabrizio, esclamò con fierezza: ”Manghe li brihénd è riscìhute a vànge li carruzzire” (ndr nemmeno i briganti sono riusciti a sconfiggere  li carruzzire). Una notte diversi briganti  stavano  uscendo dalla porta della taverna;  Vitale e figli  afferrarono i fucili e si appostarono dietro le finestre. Il  capo famiglia indicò subito di non sparare, fino a quando i briganti scomparvero.

“Il mio bisnonno, Vitale, era molto coraggioso - racconta  Annina  Fabrizio grande  appassionata di storia locale - mai si sottomise alla prepotenza dei briganti,  ma si oppose sempre, purtroppo pagò a caro prezzo la sua audacia. Infatti, la vendetta  della banda  non si è fatta attendere. Una mattina mentre stava lavorando nel suo podere della Forma vecchia del mulino,  due briganti  lo freddarono  a colpi di fucile da caccia”.  

Michele Molino

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