Di Ninni
Assenze “straordinarie” nella didattica a distanza, il racconto del prof. Mirko Menna
Istituto mattei vasto
Storie particolari di un'Italia che sa reagire, lottare e sacrificarsi
02/04/20

Tra le tante cose che si imparano stando a scuola con i ragazzi di oggi è che la loro vita fuori dall’aula trapela a sprazzi: ciò che noi percepiamo, anche conoscendoli da qualche annetto, è il 50-60 % - ad essere generosi - della loro vita, vuoi per una normale e giustissima protezione della propria intimità, vuoi per una tendenza a nascondersi dietro schermi “ultraprotettivi” che ne attutiscono l’approccio e la vicinanza, vuoi per un natural distacco che esiste fra genitore –figlio, docente-alunno, adulto-adolescente.
Ora come ora, di questi tempi, le assenze nella Didattica a Distanza fanno rumore: se manca qualcuno, subito chiediamo ai presenti dell’aula virtuale per rassicurarci: perché? È successo qualcosa? Sapete qualche informazione in più? Molto spesso i ragazzi non sanno niente; al massimo qualcuno risponde: “Io l’ho sentito ieri sera”. Ed io: “Quindi?” Studenti: “Adesso proviamo a chiamarlo, Prof, non si sarà svegliato...”. Alla consolazione per aver saputo che nelle ultime 12 ore si è fatto vivo, rimane la speranza frustrante che la sveglia non abbia svolto la sua funzione dopo una nottata trascorsa a giocare alla Play e di vederselo apparire con due paia di occhiaie ursidi. Sorpresa nella sorpresa. Non risponde. Con pazienza, quando all’ennesima telefonata non risponde, che fai? Dissenti pubblicamente ma “Va be’, iniziamo lo stesso...”. Come giustificare le assenze di una reclusione forzata? E se davvero qualcuno non sta bene, come fa a comprovarlo? Poco importa la burocrazia, vorrei solo avere rassicurazioni sulla sua salute.
Nel pomeriggio, alle 3, arriva un messaggio: “Prof, mi scusi per oggi, ma questa mattina ho lavorato” “Cioè?” “Sono impegnato come volontario nella Protezione Civile”. “Ma dai, racconta allora...”. È lì che nasce un rapporto confidenziale diverso, quando i ragazzi ti aprono una porta della loro esistenza. Se entri, non ne esci. Ti fanno sentire parte delle loro vite.
La stupidità di aver pensato al bivacco da “sdraiati” di questa generazione mi dovrebbe mortificare più di quello che do a vedere. Però, con semplicità e umiltà, loro ti raccontano queste giornate sul fronte, in prima linea:
«La nostra associazione si chiama O.D.V di Mafalda (organizzazione di volontariato) e in collaborazione con la protezione civile Regione Molise ci occupiamo della salvaguardia sul tutto il territorio del Basso Molise, per lo più dei paesi affacciati sul Trigno. In questo periodo di quarantena stiamo prestando il servizio R.E.C.O.R.D. (rete emergenza Coronavirus a domicilio) come protezione civile, ci occupiamo della popolazione e di fornire i beni di prima necessità (cibo,medicinali), infatti giornalmente ci rechiamo alla farmacia centrale dell'ospedale di Termoli per prendere tutti i medicinali da fornire alla popolazione. Collaboriamo anche con i medici di base per tutte le necessità...
Noi come Protezione civile ci occupiamo della salvaguardia di tutti gli esseri viventi, quindi anche gli animali, infatti ci preoccupiamo nel fornire soccorso agli allevatori locali che sono impossibilitati ad uscire. Ieri ci siamo occupati di dare da mangiare a delle pecore, ad esempio.
Anche noi viviamo con ansia e preoccupazione la situazione attuale, ma questo non può permetterci di rimanere fermi a girarci i pollici, il nostro paese non ha contatti, noi ci prodighiamo per dare una mano affinché non ci sia il contagio. La gente semplicemente ci ringrazia con un sorriso e questo non può che fare altro che bastarci, infatti anche noi ci mostriamo sempre con il sorriso perché far star bene la gente è quello che vogliamo, siamo disponibili per qualsiasi aiuto per la popolazione, a volte gli anziani si preoccupano e ci chiamano per avere informazioni o per essere aiutati.
Primo pomeriggio di ieri ci siamo recati in un paese vicino, sotto la nostra giurisdizione per portare del pellet ad un anziano che vive da solo e non può muoversi di casa, i figli non ci sono perché abitano a San Salvo e con questa emergenza non possono venire. La solitudine è una brutta cosa... Però le devo raccontare una cosa...ieri abbiamo fatto addirittura un salvataggio di un allevamento di lombrichi! Credo che sia l’unico caso in Italia! Tra tanta disperazione riusciamo anche a sorridere e personalmente quando torno a casa dopo aver finito di prestare servizio mi sento bene, soddisfatto di me stesso, perché ho fatto ciò che potevo per rendere meno difficile la vita di chi è in difficoltà. A distanza di anni guarderò con orgoglio ciò che ho fatto, non credo mi pentirò mai della mia scelta di essere utile in qualche modo».
Poi, all’appello dell’ora successiva, ne scopri qualcun altro, in un’altra classe:
«Nell’Alto Vastese (ndr a Gissi) abbiamo aperto un COC di primo intervento per persone ultrasettantenni o disabili: rispondiamo al telefono, prendiamo nota di ciò che serve e poi eventualmente interveniamo con doppi guanti, tute intere e maschere a tutto viso, andando a casa con un disinfettante in mano per rimanere sempre in sicurezza. Quello che mi ha colpito di più in questi giorni è stato l’intervento ad un signore rimasto da poco vedovo ed ora, trasferitosi da un'altra regione a qui, ha chiamato e responsabilmente si è messo in quarantena. Alla tristezza della situazione personale si è aggiunta la tragedia di questi giorni. Tutti però ci ringraziano con tanto affetto, qualche signora addirittura voleva offrirci dei soldi per ripagarci. Ma noi spieghiamo che è volontariato. Torno stanchissimo, ma l’orgoglio di poter fare qualcosa per il mio paese, sì quello mi ripaga».
Grazie, Matteo. Grazie, Samuele e grazie a chi non si espone e magari farà assenze per questo motivo. La scuola continua in modalità “a distanza”, mentre vorrei starvi vicino a sentire queste storie. Nessuna assenza sarà segnata sul registro e, anche se fosse, va bene così. La maturità è alle porte, chissà se si farà, ma cosa importa? Quando parlavamo mesi fa in classe della generazione del 1899/1900, di quei giovani che erano stati arruolati per leva obbligatoria alla Prima Guerra, pur chiedendovi “ma voi sareste partiti in quelle condizioni sapendo, o peggio, ignorando di andare al massacro?” non avrei mai immaginato che questa “nuova guerra” – con tutte le differenze del caso – avesse colto preparati i diciannovenni del 2000/2001 - cento anni dopo. Per fortuna l’Italia è anche questa, quella che sa reagire, sa lottare, sa sacrificarsi e sa costruire speranze per il futuro.
Scriveva Renato Serra, giornalista e scrittore, sul fronte del Carso nel 1915:
...E l’Italia resta. Non finisce, non muore; anche se sembri ora esclusa dal dramma immenso, sorda al richiamo del suo destino, abbandonata come un pezzo di legno morto fuor della corrente della storia. Certi problemi non possono rimaner legati al destino di una generazione; che può anche essere fiacca, pettegola, ottusa, cieca, vile; come questa sembra. Ma l’Italia è un’altra cosa. È una realtà. Pare che dorma, in questa distesa grigia, fra queste Alpi taciturne e questo mare scolorito, sotto il cielo basso e chiuso; con tutti i suoi uomini rintanati nel torpore e nello squallore delle piccole case, ognuno stretto fra i suoi muri, seduto alla cenere e al fumo del suo focolare, imprigionato nel suo buco, nel suo orizzonte, nei suoi interessi, nella sua meschinità [...] Questa Italia esiste; vive; fa la sua strada. Se manca oggi alla chiamata, risponderà forse domani; fra cinquanta anni, fra cento; e sarà ancora in tempo. Che cosa sono gli anni a un popolo?

Mirko Menna IIS E.MATTEI - Vasto

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